Selvadego Come Un Camorz

Selvadego: dialettale Veneto di Selvatico. Dal Latino Silvaticus che trae da Silva (foresta). “Che vive nei boschi, riferito agli animali; e dicesi pure degli uomini non civilizzati, che non avendo agricoltura propriamente detta ed armenti, vive principalmente del prodotto della caccia; Fig.: Rustico, rozzo, incolto, inabitato. “

Attenzione! Avviso: articolo lungo 🙂 Tempo previsto di lettura: 30minuti!

Anche questa volta una novità. Avevo troppa voglia di sfruttare il ponte dei Santi e andare via qualche giorno. L’idea era di andare da qualche parte in Europa, ma ahimè come spesso mi accade, il portafogli mi ha guardato con aria sconsolata e mi ha detto “Ma dove vuoi andare che non hai manco i soldi per vivere???” E così l’alternativa era andare via ma spendere poco. Risultato: montagna ovviamente! La proposta è stata trasferita anche agli altri compari di baraccate, ma per loro sfortuna, nessuno faceva il dritto venerdì/sabato/domenica. Così ho deciso di partire per i fatti miei. Sì, in montagna da solo ancora una volta, ma questa volta per tre giorni! L’idea mi piaceva molto (anche se in compagnia è sicuramente più divertente!) e dopo averci pensato qualche minuto, ho capito che mi elettrizzava proprio provare a fare tre giorni di escursionismo da solo. Un po’ una prova insomma della mia resistenza (una delle tante 🙂 ) e lo scoprire che sensazioni avrei provato in questi tre giorni.

Uno sguardo alle previsioni meteo mi aveva convinto che si poteva fare (sole limpido previsto almeno fino a domenica, abbastanza per il mio progetto). Cartine in mano e recensioni varie su internet, restava solo da scegliere la zona ed il giro. Dopo aver vagliato varie possibilità mi sono deciso a fare un triangolo in una zona che non avevo ancora visto e che avevo lasciato in disparte per future escursioni, ma della quale tutti me ne avevano parlato bene. Val Montanaia ed il famoso Campanile.

Ok, avevo deciso di partire proprio da lì. Zona vicina, fondovalli vicini in caso di necessità, altitudine discreta per evitare troppa neve e ghiaccio, e molte varianti ai percorsi per permettermi di scegliere in base alla stanchezza ed al tempo che avrei di volta in volta incontrato. Naturalmente sono partito con l’idea di godermeli questi tre giorni, quindi non volevo strafare, né correre rischi inutili o dimostrare qualcosa a qualcuno, volevo solo staccare dal mondo per tre giorni, senza fretta e senza ansia. Era opzionale anche un quarto giorno, ma solo nel caso non fossi stato troppo stanco. Bene quindi, dopo aver fatto settecento programmi diversi, ho deciso che il più bello, diretto, semplice e soprattutto realizzabile era questo triangolo di rifugi: Pordenone/Padova/Giaf, dormendo ovviamente nei ricoveri invernali perché i rifugi erano già tutti chiusi.

Descrivere dettagliatamente tre giorni di escursionismo sarebbe troppo lungo e non bastano le parole. Mi rendo conto che forse esagero e che c’è gente che fa cose più estreme, ma come ho detto non era il mio intento. Per me è stato magnifico; sensazioni diverse si sono succedute durante questi giorni, più volte ho pensato “Qual’è il ricordo più bello e qual’è quello più brutto?” Beh, di belli tantissimi, di brutti nessuno. Ho avuto alcuni momenti fisicamente stressanti e qualche attimo di solitudine, ma definirli brutti sarebbe sbagliato. E’ stato tutto incredibile, di una soddisfazione impagabile, dall’inizio alla fine, con alcuni attimi da incorniciare, anche tra quelli più faticosi. Un’esperienza che rifarei subito, sì, perché è da provare. Nonostante apprezzi di più andare in escursione con gli amici, e credo che in futuro farò quasi esclusivamente questo tipo di uscite, è un’esperienza da fare, che sono contento di aver fatto. Sarà banale, semplice, ma ognuno vive le cose a modo proprio, ed io credo di averla vissuta soprattutto come volevo io e perciò tutto questo ha senso per me. Quindi non rompete se vi sembro esagerato e sparo frasi banali a ripetizione. Fatti miei. C’è sempre www.playboy.com da vedere se non vi va bene! (Sì, ok mi rendo con che per le ragazze magari è meglio un altro sito tipo www.maschioni.com)

Riassumo quindi i tre giorni per chi volesse prendere ispirazione o fare i singoli giorni, considerando che lo zaino molto più pesante del solito ha rallentato non poco la camminata abituale, quindi i tempi indicati si accorciano per chi vuole farsi il percorso in giornata! Per mio orgoglio personale comunque sono sempre stato dentro ai tempi indicati dalle tabelle Cai 🙂

Primo giorno: Dal Rifugio Pordenone al Rifugio Padova per forcella Montanaia

  • Cartografia: Tabacco n.16 (Dolomiti del Centro Cadore) segnavia 353 – 342 – 346
  • Dislivello: 1100 mt circa
  • Difficoltà:EE
  • Tempo impiegato: 5 ore e 30.
  • Partenza: Rifigio Pordenone (Val Cimoliana – Friuli) (1249 mt)
  • Arrivo: Rifugio Padova (Valle Pra di Toro – Veneto) (1200 mt)
  • Punto più alto: Forcella Montanaia 2333 mt

Bella partenza decisamente! Emozionante iniziare quest’avventura di tre giorni, consapevole di essere solo in una zona che fondamentalmente non conosco. L’arrivo al rifugio Pordenone è già un avviso di come sia selvaggia la zona. Ci vuole una mezz’ora di strada spersa in val Cimoliana, risalendo la statale che da Longarone passa per Erto e Cimolais, attraversando il greto del torrente con l’auto, dove alcuni passaggi sono quasi da fuoristrada. La valle è spettacolare, il periodo autunnale crea una perfetta mescolanza di tonalità di marrone, arancione, verde, giallo. Lascio l’auto in una piazzola proprio dove il cartellone in legno indica i vari percorsi. Controllo di aver preso tutto. Lo zaino pesa. Decido di portare solo picozza e ramponi (grazie Nicola!) Corda moschettoni e cavoli vari li lascio in auto, altrimenti il peso è eccessivo e mi convinco che “Se ho bisogno di corda e moschettoni, allora torno indietro perché supera ciò che voglio fare”

Si parte, un po’ in ritardo rispetto la tabella di marcia (sono le dieci e pensavo di partire un’oretta prima) attraverso il ghiaione e risalgo fino al rifugio in qualche minuto. Scopro con mia grande sorpresa che è aperto fino a domenica per il ponte dei Santi! E qui penso che sono stato stupido a non chiamare, avrei potuto cambiare la partenza e farmi una notte al caldo, ma va bene lo stesso… Vorrà dire che al ritorno passerò di qua per bere… Inizio a salire per il sentiero 353 che nel bosco secco e pieno di foglie mi fa salire velocemente, per poi passare in piano e sbucare nel semplice ghiaione da risalire in mezzo alla val Montanaia. Il sole scalda e c’è parecchia gente. Escursionisti, arrampicatori che vanno al Campanile e alla palestra di roccia lì vicina. La salita si fa sentire ma il passo è fresco e buono, supero qualche persona ed una famiglia simpatica con il cui padre scambio qualche battuta. Il Campanile sbuca ed è uno spettacolo. Parole come sempre riduttive ma bello veramente. Ancora più bello quando si arriva sul suo cadino, nei pressi del Bivacco Perugini, dove la valle è incantevole. Un anfiteatro di roccia intorno a me. Faccio una breve pausa, mangio qualcosa e nel frattempo la famigliola di prima mi raggiunge. Mi fermo a guardare la cartina con il simpatico papà che, una volta scoperte le mie intenzioni, rimane entusiasta e non la smette di farmi i complimenti e gli auguri. Un buon inizio insomma. Salutata la famiglia, riparto guadagnando velocemente il ghiaione che sale fino a forcella Montanaia. Faticoso ma non troppo. Chiedo a chi la sta scendendo se nell’altro versante c’è neve. Sì, (come immaginavo), il versante a nord è innevato ma agibile. La forcella è… che parola usare? “Panoramica!” Uno sguardo alle mie spalle e la Val Montanaia sembra disegnata tanto bella è, mentre davanti a me le cime severe del Cridola ed un ghiaione innevato che scende con una pendenza da non sottovalutare. Qui ripenso alle parole e al racconto di Fabio su questo ghiaione fetente. “Sarò prudente” mi ripeto.

Dalla forcella in giù è come cambiare dal giorno alla notte: aria fredda e neve si sostituiscono al sole caldo che mi aveva accompagnato fino ad ora. Scendo, seguendo i passi di chi mi ha preceduto, il ché è già un bell’ aiuto; si scivola non poco perché oltre ad essere un ghiaione ora c’è pure una lastrina di ghiaccio, quindi cerco di andare dove la neve è alta. Faccio un paio di scivolate e conseguenti bestemmie ma per il resto scendo. E’ lungo e richiede passo fermo continuamente. La seconda parte è anche peggio perché nonostante la pendenza diminuisca, il ghiaione è più marcio e meno innevato, ma il filino di ghiaccio c’è sempre quindi non posso proprio mettere un passo a caso! Il panorama muta man mano che si avanza e finalmente sono alla base del ghiaione, dove iniziano i mughi, dove si vedono le cime del Cridola e dei Monfalconi a nord est e verso ovest compaiono Pelmo e Antelao! Che potenza! Nei mughi la vita non è più facile perché è tutto neve e ghiaccio fino a circa 1600 mt di quota, dove finalmente incontro le indicazioni per il sentiero che avrei preso il giorno dopo. Al rifugio Padova non arrivo più. Mi sembra infinita questa discesa, tra mughi e poi bosco. Sono sicuro di essere in orario, ma la preoccupazione è sempre quella di arrivare prima del buio e di avere tutto il tempo per fare le cose con calma. Un’illusione cerca di prendere il sopravvento, ma so che non troverò il rifugio aperto come è successo per il Pordenone. Troppo bello sarebbe avere un pasto caldo per la sera. Infatti, rifugio chiuso. Trovo solo due personaggi buffi di Mestre che mi raccontano essere stati sul cadino del Cridola (dove il giorno dopo sarei andato) ma “C’era troppa neve e non si va da nessuna parte!” Prendo nota dell’affermazione, ma spero vivamente si stiano sbagliando. I due sono vivamente perplessi sul fatto che sia solo e voglia fare tutto stò giro ma la loro perplessità non fa altro che aggiugere gusto al mio weekend! Il rifugio Padova è bellino (anche da chiuso) il panorama sulle cime tutte intorno è piacevole e la sera si avvicina. Mi rilasso un po’, faccio ancora due chiacchiere con i due tipi, controllo la cartina, mangio, bevo un po’ di the caldo e cerco il posto per la notte. Proprio dietro il rifugio c’è uno stanzino piccolino, con una branda, due coperte ed una panca. “Dormo qui stanotte”.

La sera arriva veloce, ho già sistemato tutto nella stanza e resto un po’ a godermi il tramonto, finché il buio ed il freddo mi fanno venir voglia di andare dentro. Mangio ancora qualcosa ed infine, con la torcia frontale, preparo il mio sacco a pelo e mi ci ficco dentro a dormire. Non ho sonno e resto a pensare al fatto che volevo avvisare a casa che va tutto bene, avvisare Nicola che dovevo incontrare il giorno dopo, ma purtroppo il cellulare non ha campo da questa mattina. Sono isolato e penso che se mi succede qualcosa “So ciavà!” Il sonno arriva ma mi sveglio verso le quattro… non sono abituato a dormire così tanto. Alle sei e mezza con le prime luci dell’alba mi alzo, stanco di aspettare. Esco, faccio una colazione rapida con i pasti ridotti che mi sono portato, mi concedo una mezz’ora di igiene personale che fa sempre bene psicologicamente e poi, dopo le ultime foto di rito, ricarico lo zaino sulle spalle e alle 7:30 parto per il secondo giorno.

Secondo Giorno: Dal Rifugio Padova al Rifugio Giaf per la Tacca del Cridola e Forcella Cridola

  • Cartografia: Tabacco n. 16 oppure n. 02 segnavia 346 – 344 – 340
  • Dislivello: 1350 mt circa.
  • Difficoltà: EE
  • Partenza: rifugio Padova 1287 mt
  • Arrivo: Rifugio Giaf 1400 mt
  • Tempo impiegato: 7 ore circa
  • Punto più alto: Tacca del Cridola 2410 mt

Il secondo giorno è interessante. Sulla carta è un percorso lunghino con tre forcelle da fare e con un pezzo piuttosto impegnativo. Le gambe rispondo bene. La risalita comincia dal sentiero del giorno prima, in modo dolce per fortuna, prima nel bosco secco e poi nella ghiaia tra i mughi. Alle mie spalle Pelmo e Antelao sono illuminati dal sole del mattino, splendidi. Ammiro l’Antelao e con soddisfazione mi ricordo l’ascesa di questa estate con Nicola. Il Pelmo invece purtroppo non fa ancora parte dei miei ricordi… Proseguo, incontro le indicazioni per il sentiero 346 e ad un certo punto il telefono vibra. Per un breve attimo ha preso segnale, abbastanza da ricevere un paio di sms di Nicola che mi chiedeva come andava. Mi sento rassicurato da questo contatto con la civiltà, e rispondo subito che ci saremmo visti come da programma al Bivacco Vaccari. Avevo dato un segno di vita, almeno se mi fosse successo qualcosa sapevano dov’ero più o meno a quell’ora! La salita ora è tra mughi innevati e ad un certo punto mi sento fischiare. Mi trovo due cacciatori sulla sinistra che mi fanno cenno di fare piano. Il più “professionale” dei due mi chiede se per favore posso star dietro a loro per cinque minuti… Non ho nulla in contrario (e poi sono armati, meglio non contraddirli 🙂 ). Camminiamo piano senza far rumore, nascondendoci tra i mughi. Ci presentiamo e mi chiedono da dove vengo, dove vado, se ho visto camosci… Precisano che stanno cercando una “capra ferita da abbattere”… Ci credo poco, soprattutto perché mi chiedono anche se ho visto camosci in giro. Ovviamente rispondo di no. Dopo un po’ arriviamo alla fine dei mughi, a circa duemila metri di quota. Mi ringraziano per la cortesia, mi dicono che posso proseguire senza problemi, ma se riesco a fare piano è meglio. “Naturalmente!”, dico io e parto in salita verso la mia strada. I cinque minuti sono stati comunque riposanti e non potevano farmi che bene visto cosa mi aspettava. Poco dopo i mughi il sentiero si trasforma in ghiaione, con scarsa pendenza si dirige verso forcella Scodavacca. Sapevo che non dovevo farla ma ad un certo punto era necessario deviare sul ghiaione alla mia sinistra e risalirlo verso il Cridola. Bene, ho guardato a lungo e con un po’ di titubanza. Il ghiaione è veramente bruttino ad un primo sguardo. Non c’è una traccia segnata e bisogna per forza attaccarlo. La carta indica di attraversarlo da destra a sinistra e poi dritto. Bah! Comincio a salirlo e mi rendo conto che sarà tosto. Infatti la salita è da sputar sangue. Non vedo segni e più salgo più mi rendo conto che forse il canalone era quello subito dopo questo, ma oramai ci sono dentro, è franosissimo e scenderlo significava rischiare di farsi male per poi non essere sicuri di essere effettivamente sul ghiaione sbagliato! Devo studiare ogni passo, cercando di deviare verso le rocce più grosse perché meno scivolose. È un campo minato e molto spesso invece di salire scendo insieme al ghiaione che frana. E’ nà merda veramente (scusate il francesismo). Sono alto, a più di metà ghiaione. Faccio veramente fatica, cerco sempre di andare sulla neve nei rari pezzi dove c’è oppure sulle rocce grosse ma è faticoso. Mi devo fermare ogni tre quattro passi perché sono veramente stanco. Lo zaino inoltre, voluminoso e pesante non aiuta per niente. Salgo ancora, alle volte devo mettere le mani per stare in equilibrio ed avere un appiglio più sicuro. Ogni tanto faccio rotolare giù qualche sasso e mi volto per assicurarmi che non ci sia qualche altro pazzo che sta salendo. Sono veramente nel canalone più tosto che abbia mai fatto nella mia scarsa esperienza. Mi rendo conto che non è quello giusto perché è impossibile che non ci sia manco un segno. Ma guardando la piantina in teoria sono giusto e comunque sia dovrei arrivare allo stesso punto. Spero solo di non trovare qualche salto o parete in cima da dover passare. In qualche momento temo veramente di finire giù perché è uno schifo continuo, scivolo, mi rimetto in piedi, riscivolo e il piede scende con il ghiaione più di quanto non sia riuscito a salire con quel passo. Mi maledico per non ricordare la descrizione che avevo letto in internet di questa salita, che poteva aiutarmi a non fare errori. Non avendo nessun segnavia sono indeciso da che parte salire. Il canalone nella parte alta si divide in tre possibili uscite ma nessuna è chiara e non mi resta che guardare bene la piantina e capire che la forcella dovrebbe essere a destra. Prendo quindi quella via, taglio il ghiaione spostandomi a destra, e vado completamente in ombra dove la neve ghiacciata è di casa. “Meglio del ghiaione” penso, “Almeno questa è ferma”, a parte ovviamente i punti dove è sottile e sotto c’è quel ghiaino bastardo che ti fa partire lo scarpone… Verso tre quarti scorgo un tubo metallico piantato in quella che forse è la forcella. Se c’è un tubo vuol dire che c’è qualcosa, magari un cartello, un confine, ma comunque qualcuno c’è stato! Mi rincuoro e continuo. Sono nella direzione giusta, penso, devo solo passare un paio di scalini di roccia. Arrivo a questi scalini, e nonostante la stanchezza me li godo in piccoli passi di semplice arrampicata. Dietro a questi il tubo è ora una certezza e dopo pochi metri arrivo in forcella! Tacca del Cridola, 2410 mt! Che sospiro di sollievo! Che soddisfazione! Ora ci sono i cartelli e sulla destra i segni del sentiero che forse dovevo fare e come temevo, era su un canalone parallelo, che però non riesco a capire quanto più facile sarebbe stato perché nascosto dalle pareti. La vista è mozzafiato, alle spalle il ghiaione che ho conquistato con tanta fatica e torri di roccia che si stagliano. Di fronte a me ancora un ghiaione da scendere, completamente innevato e sullo sfondo le dolomiti di Sesto, le tre cime di Lavaredo e altro ancora che mi godo con grande soddisfazione. “Sono proprio montagne severe” penso, con le mani ai fianchi, riprendendo fiato e fissando ancora una volta quel canalone bastardo che mi ha fatto sudare così tanto. Guardo il cellulare e vedo che è a campo pieno. Chiamo subito a casa, sono le undici, e rassicuro mia madre che va tutto bene! Poi chiamo Nicola che sta arrivando, anzi è già quasi alla base del ghiaione che sto per fare, quindi tra poco ci incontriamo! Che figata! Ci ho messo un sacco di tempo e di energie per arrivare in forcella, ma spero di arrivare al Giaf per sera. La discesa per fortuna è semplice, vado in scivolata sulla neve quasi sempre, evitando i punti più bastardi. I segnavia sono sempre presenti ma non sono necessari perché vado praticamente dritto. Alla base del ghiaione due camosci corrono via. Forse mi hanno sentito oppure scappano da Nicola che è nei paraggi. C’è di nuovo il brusco cambio di temperatura: dal ghiaione assolato, ai guanti e berretto di questo tratto innevato e sensa sole. Finalmente aggiro un roccione e dietro quello, sullo sfondo, vedo una sagoma amica. Il saluto è immediato e sono veramente felice di vederlo! Passo dopo passo arrivo da Nicola. L’abbraccio è spontaneo ed è veramente indescrivibile la gioia. Niente di meglio di incontrare un amico in montagna dopo tutta questa fatica! Parliamo un po’ e poi partiamo verso il Bivacco Vaccari, salendo un piccolo dislivello ghiacciato. Il Vaccari è in una zona bellissima. Anche qui mi sembra di essere a teatro e non so dove guardare. Montagne ovunque. Ci concediamo una meritata sosta, mangio e bevo per recuperare un po’ le forze. Ma “el sol magna le ore” e non posso prendermela comoda perché ho ancora un bel tratto di strada da fare. Nicola decide di fare un pezzo di sentiero con me, così almeno facciamo un po’ di fatica insieme e ce la raccontiamo. Per l’una del pomeriggio arriviamo a Forcella del Cridola. Il Paesaggio cambia per l’ennesima volta e da qui posso vedere il lungo percorso che mi porterà al Monte Boschet, ultima forcella, dalla quale poi scenderò al rifugio Giaf. Sembra lungo e spero di fare in tempo. Scendiamo per un ghiaione sporco di neve e ghiaccio (ormai non ci faccio più caso!). Nicola lo battezza “Della serie mi muovo e scivolo”. Dopo la discesa si cammina praticamente in quota ed arriviamo al bivio. Qui ci salutiamo. Io devo andare a destra e Nicola a sinistra, per ridiscendere al Passo della Mauria e tornare a casa. Quasi triste salutarlo. Mi lascia tutto il suo the e la roba da mangiare, così da arricchire un po’ la mia sintetica dose di cibo. Grazie amico mio. Un saluto, un abbraccio e si parte, dopo le ultime raccomandazioni d’obbligo. Scendo il secondo tratto di ghiaione molto più facile, abbassandomi di un buon 150 mt. Da qui ricominciano i mughi ed un po’ di neve nelle zone in ombra. Praticamente vado come una spada, e dopo aver salutato Nicola che ogni tanto mi guardava dall’altra parte della valle, continuo un saliscendi su questa specie di cengia sassosa, in alcuni punti esposta ma senza reali difficoltà. Risalgo e non mi sembra vero di avere ancora tutta questa energia. La pendenza “morbida” mi accelera decisamente il passo, e la voglia di arrivare in tempo al rifugio fa il resto. Con stupore arrivo alla forcella, che alla fine forcella non è ma è semplicemente il punto più alto del Boschet. Uno spiazzo ampio in mezzo al bosco. Un paesaggio piacevole, rilassante ed il calore del sole fa il resto. Il più è fatto! Ora non devo fare altro che scendere. Sono le due e un quarto del pomeriggio, scendo per questo bosco pieno di fogliame secco, gustandomi i raggi caldi del sole, guardando nuove cime di fronte a me. Il sentiero prosegue in costa e a zig-zag scende lungo il versante sud del Boschet. Qualche dito del piede si lamenta, ma sono lamentele sopportabili. Torno in ombra perché mi abbasso velocemente di quota e continuo seguendo le indicazioni dell’”Anello Truoi Dei Bianchi”. Comincio a sentire i rumori della valle e il continuo fruscio dell’acqua. Sono vicino al Torrente Giaf, e quindi al rifugio. Poco dopo infatti lo vedo spuntare. Scendo, arrivo alla confluenza del sentiero 346 che sale alla forcella Scodavacca e passo dall’altro versante del torrente. L’ultimo pezzo lo brucio letteralmente e alle 14:45 ho già scaraventato lo zaino sopra uno dei tavoli lì nel parco. C’è anche uno dei probabili gestori del rifugio che sta caricando qualcosa in un fuoristrada per partire. Gli chiedo ingenuamente se è chiuso o aperto, ma ovviamente sì vedeva benissimo che era tutto chiuso… Il ricovero invernale è subito sotto al rifugio. Una casina in pietra a due piani. Entro, c’è il focolare in una stanza e nell’altra stufe vecchie e robaccia varia. Le scale portano al secondo piano, dove ci sono due stanze con un matrimoniale vecchio e qualche altra branda. E’ tutto piuttosto trasandato. I cuscini sono tutti sulle finestre (aperte) praticamente congelati. Stessa cosa per gran parte delle coperte, mentre le altre sono buttate sopra il passamano della scala. E’ tutto rovinato, per terra un sacco di “residui bellici” dei topi. Le coperte sono mezze mangiate e strappate… Sono un po’ perplesso! Solitamente questi ricoveri sono semplici, spogli ma ben tenuti. E invece questo no! Torno giù, il telefono ovviamente non prende una mazza ma al secondo tentativo riesco a mandare un sms a Nicola per dirgli che sono arrivato. Dopo quasi un’ora mi arriva il suo. Anche lui è arrivato e sta tornando a casa. “Bene”, penso, “ora ho il resto della giornata per riposare, mangiare, godermi il paesaggio”. Decido subito di iniziare a chiudere le finestre della stanza dove dormirò, per cercare di non far entrare altro freddo. Scelgo il matrimoniale vecchio in legno come suite, ci appoggio i cuscini gelati e scelgo un paio di coperte tra le meno rovinate. Faccio un altro paio di giri d’ispezione e poi decido che è venuto il momento di utilizzare il focolare. Legna ce n’è poca, ma penso bene di andare in “prestito” dal rifugio. Prendo un cassetto della credenza e lo uso come contenitore, salgo al rifugio e trovo lo stoccaggio della legna. Un paio di carichi sono sufficienti e ora aspetto che faccia buio per accendere il fuoco, così da non sprecare troppa legna. Resto seduto fuori in una panca improvvisata, a piedi nudi distesi sulla staccionata del ricovero e mi godo il silenzio, il tramonto che arriva e respiro quest’aria fresca che mi rilassa più di ogni altra cosa. Non c’è niente nella mia testa se non il piacere di essere lì. Le montagne alla mia sinistra cominciano a bruciare, insieme al cielo, poi dal rosso si passa al viola, al blu ed infine scende la sera. Rientro, tiro fuori i miei arnesi per accendere il fuoco e poco dopo il piacere del calore è già un lusso al quale fatico a rinunciare. Purtroppo il camino non tira benissimo e sono costretto a tenere la porta un po’ aperta per far uscire il fumo. Scarponi, ghette, guanti calzini e piedi sono vicini al fuoco ad asciugare e riscaldarsi mentre mangio e bevo il più possibile. Non ho molto appetito ma so che devo mangiare e bere altrimenti non posso recuperare l’energia per l’ultimo giorno! La sera passa davanti al fuoco, stregato come sempre dalla fiamma che affascina con i suoi scoppiettii e movimenti. Mi diverto a studiare un po’ la mia digitale, faccio un po’ di foto per testare le varie impostazioni. Poi esco e il naso non può che rimanere all’insù. Il cielo stellato è una droga, cerco di riconoscere un po’ di stelle, le riguardo, in attesa di trovarne una cadente e solo dopo una buona mezz’ora il mio corpo chiede calore e torno dentro a scaldarmi. E’ tarduccio ma non ho sonno. Faccio un po’ di stretching perché le gambe ne hanno bisogno ed infine butto gli ultimi due ceppi nel fuoco e salgo le scale. Mi spoglio velocemente perché fa freddo e mi infilo nel sacco a pelo. Un paio di coperte sopra sono quasi superflue perché il sacco scalda parecchio. Non è una bella dormita rilassata come la sera prima. Ho caldo, poi freddo, il letto è scomodo e verso le quattro sento il suono di un volatile che gira intorno alla zona. Non so cosa sia ma fa abbastanza impressione e solo quando lo sento lontano mi sento più tranquillo! Decisamente suggestionabile 🙂 Il mattino arriva, la sveglia non serve perché sono già con gli occhi aperti da un po’ e mi rivesto con calma. L’alba è incantevole. Le nuvole che coprono il cielo creano un effetto di colori in continuo cambiamento, mentre il sole si alza. Merita di essere vista con calma… Anche oggi mi dedico all’igiene persole, faccio colazione, sistemo il focolare, riordino coperte, cuscini e letto ed infine reimpacchetto tutto nello zaino.

Terzo Giorno: Dal Rifugio Giaf al Rifugio Pordenone per il Bivacco Marchi-Granzotto

  • Cartografia: Tabacco n. 16 oppure n. 2 segnavia 342-349
  • Dislivello: 1000 mt circa
  • Difficoltà: EE
  • Tempo impiegato: 5 ore e 30 circa
  • Partenza: Rifugio Giaf 1400 mt
  • Arrivo: Rifugio Pordenone 1249 mt
  • Punto più alto: Forcella del Leone 2290 mt

“E’ l’ultimo giorno” penso, “Fatto questo ho finito!” Le gambe sono meno reattive e sentono i duemila e rotti metri dei giorni precedenti. Carico lo zaino sulle spalle, chiudo il rifugio, lo guardo per l’ultima volta e ringrazio per l’ospitalità. Scendo e prendo il sentiero 342 subito davanti al Giaf. Sento la salita pesante. Le gambe sono stanche e il mio passo è decisamente rallentato. Il sentiero è fatto in gran parte da scalini di ghiaia arginati da travi di legno, tutto rigorosamente congelato dal freddo del mattino. Lo scalino non fa scivolare ma fa alzare di più la gamba, di conseguenza la fatica è tanta, almeno per me. Il gruppo che mi arriva alle spalle e mi supera velocemente invece sembra quasi non far fatica. Mi staccano subito e un po’ li invidio, però il mio ego mi consola facendomi notare che il loro zaino è metà del mio e sono un tantino più riposati. Li saluto tutti, loro salutano me e passano. Il sentiero ora non è più scalini ma ghiaione, sbuca dai mughi e piega in destra da dove si può vedere la forcella di Cason che mi aspetta. Uff, un altro bel ghiaione innevato e ghiacciato. Il cielo è grigio e verso nord girano nuvoloni scuri ma non credo abbiano cattive intenzioni. Senza sole però la temperatura non è proprio estiva ed una brezza sul collo mi fa capire che è meglio se non stò troppo fermo a raffreddarmi. Il ghiaione è compatto (almeno questo!) e piano piano lo risalgo, scrutando la forcella ed il gruppo che mi ha staccato di brutto. A metà ghiaione si fermano e poi scopro, guardando le loro impronte che alcuni di loro si sono messi i ramponi. Ci ho pensato anche io ma alla fine ho deciso che bastavano gli scarponi. L’ultimo quarto di ghiaione è tosto perché la pendenza aumenta, neve e ghiaccio anche ed in alcuni punti sono proprio esposto. Sono stanco, mi preoccupo perché il piede non è più bello fermo e sono in una zona che è comunque rischiosa. La mente però obbliga il corpo alla massima disciplina e lentamente avanzo. Ci sono anche un paio di punti in cui devo mettere le mani ed arrampicare. La pensavo più facile stà forcella, ed invece questo tratto è difficile, probabilmente lo sento ancora più difficile per la stanchezza. Però bello non c’è che dire!. Gli ultimi metri sono invece ghiaione più comodo e senza esposizione e li risalgo quasi con cattiveria, proprio mangiandoli perché “voglio questa forcella!”. Ci arrivo: parole scontate ancora una volta, ma stupendo. Una vallata di cime con un puntino rosso quasi nel mezzo. E’ il bivacco Marchi-Granzotto, la mia meta intermedia! Non vedo il gruppo di prima e non capisco dove cavolo sia finito. Se passava dal bivacco non poteva avere tutto quel vantaggio, eppure sono spariti. “Cavoli” penso, “sono delle scheggie!” Sono felice perché ho fatto il grosso del tragitto oramai ed il panorama paga ogni fatica fatta fino ad ora. Sono indeciso se scendere direttamente al rifugio Pordenone per Val Monfalcon di Forni oppure, come da programma fare anche forcella Leone ed arrivare da Val Monfalcon di Cimoliana. Mentre ci penso scendo verso il bivacco. Qui mangio e bevo mentre alcuni immancabili gracchi mi girano intorno in attesa di pappare le briciole del mio pasto. Sento delle voci ma non capisco da dove vengono. Dopo aver ascoltato in silenzio riesco a capirne la provenienza ed aguzzando la vista trovo il gruppo di prima. Erano in arrampicata verso cima dei Pecoli!!! Avevano fatto un sacco di strada e per giunta stavano arrampicando su questa cima decisamente non facile. E tutto mentre io con fatica arrivavo al bivacco. Che gente bestiale! Brindo con un sorso di the alla loro “passeggiatina” e dopo una breve riflessione decido di fare anche l’ultima forcella. Sì perché non potevo arrendermi ora. Quello era il programma e quello volevo fare! Inoltre erano appena le dieci del mattino, avevo ancora tutta la giornata ed era l’ultimo giorno quindi potevo dare il tutto per tutto e poi mi sarei riposato. Foto di rito, ultimi sorsi di the, ultimo sguardo al paesaggio e nuovamente con lo zaino sulle spalle. Prendo il sentiero e salgo con fatica, ma nemmeno tanta. Arrivo alla forcella in neanche venti minuti. E’ facile a dispetto delle mie previsioni (e delle forcelle precedenti) e quasi non mi rendo conto di averla fatta. L’ultima forcella!!! Ho fatto l’ultima forcella del mio viaggio!!! Sono quasi commosso ed incredulo. Ora si scende in questa valle che sembra franare dai suoi due versanti da un momento all’altro. E’ selvaggia, è tutto ghiaione che frana in mezzo, è grigio e bianco della neve e basta. Affascinante. Il sentiero si tiene sulla sinistra su questa cengetta ghiaiosa, molto scivolosa perché piena di neve. E’ lungo e le gambe sono sempre più stanche quindi non vedo l’ora di uscirne e camminare su qualcosa di più largo di venti centimetri di sentiero… Mi volto spesso indietro per rivedere la forcella. Il cielo si sta aprendo e le nuvole lasciano posto ad un azzurro limpidissimo. “Forse mi becco il sole anche oggi, dai!” Scendo e finalmente si passa su sentiero di prato, di sassi nel terreno e posso rilassarmi un po’ di più. Man mano che scendo incontro qualche gruppetto che sale. Scambiamo un saluto e quattro chiacchiere e poi ognuno prosegue per la sua strada. Ancora ghiaione, poi mughi, ghiaione di nuovo e anche un piccolo torrente nel quale mi lavo il viso con un piacere che non sentivo da tre giorni. Nel frattempo il sole è uscito allo scoperto. Le nuvole sono sparite, fa più caldo e resto quasi immobile a fissare la vallata, sorridendo come uno scemo. Ora il sentiero passa proprio sul greto del torrente. Un ampio mare di ghiaione che mi diverto a fare a mezza corsa, scivolandoci dentro, anche se fa un po’ male alle punta delle dita… Supero un altro gruppo di persone che sta scendendo ma ho voglia di arrivare al rifugio Pordenone, sperare che sia aperto e scolarmi una birra. E’ suggestivo anche questo pezzo. Davanti a me Col Meluzzo, sullo sfondo a sinistra l’omonima valle e dietro alle mie spalle ghiaia, roccia e tutto quello che ho attraversato in questi giorni. Scendo, il passo accelera man mano in automatico, supero un’altra coppia di ragazzi e poi svolto a destra perché il sentiero entra nel bosco. E’ l’ultimo tratto, qui si risale leggermente ma la gioia di aver completato il giro mi da energia a mille e sto letteralmente correndo in salita. Proseguo, con la smaniante attesa di trovarmi di fronte al rifugio. Il pezzo in bosco non è così breve come credevo ma quando arrivo all’ultimo tornante compare la baracca in legno dove c’è il gruppo elettrogeno del rifugio. Prendo quasi un colpo perché proprio quando mi fermo a guardarlo si mette in moto improvvisamente. C’è vita!!! Ok ok gli ultimi venti metri spariscono e mi ritrovo seduto sulla panca fuori dal rifugio. Aaaaah che felicità. C’è gente, un gruppo di ragazzi che mi guarda, parlocchiano un po’ tra loro e poi uno di loro si avvicina per chiedermi dove sono stato con la picozza. Gli racconto ed il tipo mi fa i complimenti per il giro e ci ordiniamo tutti insieme una birra e brindiamo. Loro hanno dormito al Marchi e Granzotto quella notte. Arriva altra gente. La birra scende con un piacere indescrivibile. Mi godo gli ultimi istanti di sole, e la brezza leggera che arriva. Ho finito, ho finito! Sembrerà sciocco ma sono veramente contento e per me è un’impresa realizzata. E’ l’una, prestissimo, sono arrivato anche oggi prima del previsto. Saluto il simpatico gruppo e scendo nel ghiaione che velocemente mi porta all’auto. La vedo e quasi mi commuovo. Ora ho veramente completato il giro. Mi cambio con calma e mi rilasso un attimo seduto sul baule dell’auto. Guardo la val Montanaia e ripenso a questi bellissimi tre giorni. Mi sento fortunato, perché è andato tutto bene, il tempo è stato magnifico, non ho avuto problemi ed ho percorso tutto il programma che volevo fare. Meglio di così non poteva andare. Salgo in macchina, ripercorro la lunga strada che riporta a Cimolais; ora sono sulla statale, Passo S. Osvaldo, Erto… la diga del Vajont strapiena di gente che m’infastidisce vedere, Longarone ed infine l’autostrada. Chiamo Nicola e lo saluto per dirgli che ho finito, anche Giorgia è contenta che ho finito di “andar in tì pericoi”.. ci vediamo la sera per mangiare una pizza insieme… La strada verso casa non la ricordo nemmeno perché pensavo solamente a questi tre giorni di montagna, semplici, indescrivibili ed impagabili ma soprattutto “selvadeghi”, “selvadeghi come un camorz…”

Ivo

Galleria Fotografica di questi tre giorni:

Val Montanaia

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14 risposte a Selvadego Come Un Camorz

  1. Manuel dice:

    Beh.. che dire.. anzitutto ci ho messo 3 giorni a leggere tutto l’articolone… e poi volevo essere il primo a commentarlo…
    Diciamo che appena iniziato a leggerlo mi sono subito fatto distrarre dal tuo consiglio… sono andato a vedere http://www.playboy.com ed effettivamente era meglio che leggere la tua storia 🙂
    Scherzi a parte… sei sempre il solito matto… hai fatto bene a non dirmi prima che andavi a fare questa “scampagnata”… sarei stato rabbioso d’invidia e preoccupato allo stesso tempo….

    Una altra prova superata… un’altra tacchetta da aggiungere al tuo coltello… complimenti!

    Quel giorno che finirai di sfidare te stesso allora dovro’ preoccuparmi veramente.

    Consiglio: la prossima volta non fare solo foto panoramiche… mai fai anche qualche foto alla tua faccia “che sorride come uno scemo… ” he he he mi vien da ridere solo ad immaginarti: tutto zozzo e puzzone come un barbone dopo 3 giorni di vita selvarega… ma con un sorriso di soddisfazione che ti ricompensa tutte le fatiche.

    E poi, ogni volta che leggo le tue scritture, mi convinco sempre di piu’ la tua capicita’ descrittiva degli eventi accaduti e la tua tipica licenza poetica sono un dono che ti porti dentro… complimenti.
    ;-P un abbraccio vecio

  2. Ivo dice:

    Eheh amico mio, in effetti altra gente so che ha preferito andare su playboy dopo le prime righe 😉
    Grazie per i tuoi sempre positivi commenti.
    Aspetto che ti venga la voglia di fare un giro insieme, tanto per ricordare quella famosa salita dal torrente durante il corso avventura, in cui tu mi dicesti “Ivo, D.C.!” 🙂
    Tengo conto del consiglio (ma le foto verrebbero orrende!)
    Sì, un’altra tacca sul coltello… 😉
    Un abbraccio!

  3. Luca dice:

    Io siceramente non sono andato a vedere le donnine
    (sia ben chiaro che non sono dell’altra sponda)…
    Mi sono appassionato a leggere questo racconto: purtroppo non ho mai avuto l’interesse della montagna, ma è stato veramente piacevole leggere questa descrizione così dettagliata e così “sentita”…
    Un senso di ammirazione nei tuoi confronti lo provo…

    Complimenti

    Luca

  4. Ivo dice:

    Grazie Luca!
    Il tuo commento è inaspettato, e per questo ancor più apprezzato!
    Lo so che comunque dopo sei andato a vederti le donnine nude 🙂
    Ciao!

  5. stefano dice:

    ciao, ho letto il tuo diario…bello e interessante, ti chiedo se è fattibile anche da chi (io in particolare !!) è “solo” un buon camminatore, ma soffre di vertigini…dovendo quindi evitare ferrate e punti esposti.

    Grazie

  6. Ivo dice:

    Ciao Stefano, grazie per il commento, sono lieto che ti sia piaciuto!
    Per la tua domanda.. beh, diciamo che i percorsi indicati in questi tre giorni sono “variabili”. C’è una parte senza particolari vertigini, ma alcuni tratti sono sicuramente un po’ più da vertigini, come la tacca del Cridola o forcella Cason per fare qualche esempio. Però considera che anche io soffro un po’ di vertigini, ma proprio con questi percorsi ti passa piano piano la paura 😉
    Ti consiglio di provarli per gradi quindi, magari senza arrivare alle forcelle, o arrivandoci e poi tornando indietro e man mano capire dove puoi arrivare. Documentati sui percorsi, il mio parere è sicuramente molto personale e magari ciò che per me è difficile per te non lo è affatto!
    Grazie ancora per il commento, buone camminate ed a presto!!!

  7. nicola dice:

    ciao techn! nei consigli sei davvero “bravo”! ti propongo per il prossimo corso propedeutico per accompagnatori! questa mia per invitarti il giorno 19 mercoledì, alla rocca del falcone per una riunione fantastici. cena con pizza in cartone. il motivo del nostro incontro è per lavorare sui manifesti del prossimo corso. sarebbe bello se potessi darci anche il tuo contributo di idee se ti và. porta il portatile. buona giornata.

  8. Ivo dice:

    Uomo gomma che onore!!! Hai finito di scroccare benzina a tua madre???
    Ma non si diceva Braaaaavo! ?? 🙂
    Cena da rimandare purtroppo, ne ho già una il 19!!! 🙁
    Ci sentiamo stasera cmq!
    “BRAAAAAAAVO!” 😀 😀

  9. Alex dice:

    Complimenti!
    Per il resoconto, ma soprattutto per l’impresa!
    Chissa’ forse un giorno verrò anch’io a fare una “passeggiata”…
    Ciao,
    by BubbleBobble 😉

  10. Ivo dice:

    Ciao Alex!
    Ridicolo abitare a 2km di distanza e “vederci” solo via internet… ma va così oramai 🙂 Grazie dei complimenti vecchio, ci si vede presto (se spera)

    Un saluto ai fantastici 4. La cena è stata piacevole ben riuscita ed il lavoro di gruppo stimolante! Non vedo l’ora di vedere i manifesti nuovi 🙂
    Ciauzzzz

  11. nardino dice:

    Ho fatto quasi lo stesso giro (da solo) ma in estate.
    1° giorno – Sentiero marini e bivaco Gervasutti.
    2° giorno – Forcella Spe e Giaf via rif. Padova.
    3° giorno – Pordenone via forcella del Leone e
    forcella Cimoliana.
    Dal Gervasutti, a quasi al Padova, l’ho fatta in mutande (perche diluviava) non ho incontrato un cane, considera che era un 15 Agosto, però del 1970.
    Grandi spettacolari selvagge montagne. Considero l’anfiteatro del bivacco Marchi Granzotto uno dei piu bei catini delle dolomiti, vale la pena dormirci almeno una notte con le stelle, uno spettacolo.
    Fa sempre piacere sapere che c’è ancora gente come Te che apprezza i silenzi, le bellezze di queste splendide montagne.
    Ciao

  12. Ivo dice:

    Ciao Nardino!
    Molto bello anche il tuo giro, decisamente!! Peccato per le mutante 🙂 ma credo che anche la pioggia abbia il suo gran bel fascino…
    Grazie. è un piacere condividere queste cose con gente che le apprezza e sa di cosa parlo…
    Ciao!

  13. Michele dice:

    Complimenti!!!
    Davvero avvincente e appassionante sia il giro che la descrizione, che ho letto di un fiato.
    Credo proprio che ripercorrerò le tue orme, sperando che mi vada tutto bene. Da un po’ mi capita di andare in solitaria per poter gestire i percorsi e la mia curiosità con i tempi personali, quindi il tuo lavoro è un ottima documentazione.
    Magari un giorno ci si trova su sentiero.
    Buone escursioni!!! Ciao!

  14. Ivo dice:

    Grazie Michele! Troppo gentile!
    Mi fa piacere che ti sia piaciuto e che sia un buon punto d’ispirazione!
    Speravo di riuscire a ripete la cosa più volte nel 2008 ma non ne ho avuto modo… ma lo aggiungo come buon proposito per il 2009!! 🙂
    Sarà un piacere incontrati tra i sentieri…
    E magari mi ispirerai tu con le tue di escursioni!
    Grazie ancora e buon vagabondaggio 😉

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